L’impatto emotivo di una scena attraverso il DROP OUT, la tecnica di montaggio sonoro che immerge lo spettatore nel silenzio e lo chiude in una bolla.
Nei momenti di massima tensione il silenzio improvviso fa più rumore di qualunque assordante esplosione.
Da sempre i registi hanno cercato di abbattere la quarta parete cercando di immergere lo spettatore nelle storie dei personaggi, in teatro può risultare più immediato data la presenza fisica degli attori; nel cinema sono state diverse le tecniche utilizzate per colpire la sensibilità del pubblico.

Kubrick chiese a Jack Nicholson di guardare in camera durante le riprese di Shining ad esempio, Tarantino utilizzò un filtro verde in Kill Bill per far “indossare” al pubblico gli occhiali da sole dello sceriffo. Esattamente come per le immagini, anche l’audio può essere un mezzo per abbattere la quarta parete nel cinema.
Il DROP OUT: Cos’è e che impatto ha?

La componente fondamentale che fa di un film un buon film, è il sonoro inteso come musica e rumori. Tanta strada è stata fatta, dal cinema muto al sonoro moderno e in questi anni abbiamo visto la nascita di idee che pian piano si sono fatte strada.
È il caso del DROP OUT che consiste in un improvviso taglio sonoro in una scena con un alto tasso di tensione. Il culmine al termine di un crescendo emotivo o violento, un momento in cui l’orecchio dello spettatore è magari preparato al peggio e invece viene rinchiuso in una bolla dentro la quale il tempo sì ferma e tutto ciò che vediamo assume verità amplificata dai nostri sensi.
Il tempo si ferma, il cuore sembra rallentare, le pupille si dilatano, tutto questo è trasmesso dal silenzio; in questo caso l’assenza improvvisa di suono ci catapulta automaticamente nella realtà emotiva e sensoriale dei personaggi. La finzione diviene realtà attraverso un potente espediente narrativo volto ad accentuare shock e tensione.
Dove provare l’esperienza del DROP OUT

Nel cinema moderno si tratta di un carattere sempre molto presente in particolare nella filmografia di Christopher Nolan: Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno ha un drop out nella scena in cui Bane fa esplodere il campo da football, un’interruzione improvvisa dell’audio prima che l’onda d’urto colpisca lo stadio; in Oppenheimer, Nolan, usa questo espediente elevato all’ennesima potenza – conto alla rovescia –saturazione massima dell’immagine – 30 secondi interminabili di silenzio – esplosione volutamente in ritardo rispetto alla detonazione.
Altri magistrali esempi possiamo trovarli in tutte le scene ambientate nello spazio di Insterstellar, nella realistica sequenza di Salvate il Soldato Ryan dove la colonna sonora lascia il posto ad un ronzio.
I secondi di silenzio che accompagnano lo schianto dell’incrociatore contro la flotta del Primo Ordine in Star Wars: Gli Ultimi Jedi, altri casi ci permettono di entrare in profonda empatia con il personaggio come in Babel nelle sequenze della ragazza sorda.
Perché il silenzio può essere disturbante?
Il silenzio ha diverse connotazioni che possono creare disagi di natura psicologica, biologica e culturale.
Associamo in maniera istintiva il silenzio ad una situazione di pericolo soprattutto se improvviso, proprio come in natura dove il silenzio anticipa l’attacco di un predatore.
Nel silenzio spostiamo automaticamente l’attenzione verso l’interno, un qualcosa che sfugge al nostro controllo dato che abbiamo bisogno di “rumore” per interagire.
Esiste la paura del silenzio sociale, un tratto della cultura occidentale che vede il silenzio tra due persone che dovrebbero invece comunicare come un fallimento.
Guardiamo i film non solo per emozionarci ma per conoscere meglio noi stessi attraverso ciò che ci fa paura.
I registi (quelli bravi) conoscono bene le nostre paure perché sono le stesse di tutti gli esseri umani, ce le sbattono in faccia per emozionarci e per offrirci una esperienza finta ma vera.

