Cover-Up non è un semplice documentario, ma un’immersione dentro mezzo secolo di segreti, menzogne di Stato e rivelazioni esplosive. Il film, candidato agli Oscar e vincitore del National Board of Review è diretto da Laura Poitras insieme a Mark Obenhaus. Riprende la vita del leggendario reporter investigativo Seymour Hersh e la trasforma in un racconto vibrante, sospeso tra storia, tensione e memoria collettiva. Sul grande schermo scorrono immagini d’archivio, appunti sgualciti, telefonate con fonti invisibili, stanze piene di scatoloni e dossier. Ma soprattutto scorre la voce di Hersh: ruvida, precisa e ancora battagliera.
Chi era Seymour Hersh: il giornalista che non aveva paura di disturbare

Per capire la forza del film bisogna prima capire l’uomo. Seymour Hersh non nasce come “reporter d’élite”. Cresce in una famiglia di immigrati, destinato ad una vita ordinaria nella lavanderia del padre. Ma l’istinto lo porta altrove ed inizia a lavorare in una redazione, come ragazzo tuttofare. Da lì, passo dopo passo, inizia un cammino che lo renderà uno dei giornalisti investigativi più influenti del mondo.
È lui, da freelance sconosciuto, a far emergere l’orrore del massacro di My Lai durante la guerra del Vietnam, un’inchiesta che gli vale il Pulitzer e cambia per sempre il modo in cui l’America guarda se stessa. È ancora lui a scoperchiare lo scandalo delle torture di Abu Ghraib in Iraq. E poi la CIA, il potere politico e delle operazioni clandestine. Hersh entra dove pochi hanno il coraggio anche solo di guardare. Un uomo diffidente, ossessivo nella ricerca della verità, è famoso per la sua capacità di proteggere le fonti come fossero familiari.
Cover-Up: il ritratto di un’ossessione
Il film non ne fa un santo. Anzi. Poitras e Obenhaus lo mostrano per quello che è. Un uomo geniale, ma scontroso, appassionato e fragile, capace di entusiasmi improvvisi e di bruschi momenti di chiusura. Ci sono scene in cui Hersh si irrita, teme che il documentario invada la sfera delle sue fonti o scavi troppo nel suo metodo di lavoro. La sua vita è un mosaico di telefonate segrete, viaggi improvvisi e confidenze strappate con pazienza. E soprattutto lui ha un’idea precisa sul fatto che il potere mente, sempre e che il lavoro dei giornalisti è scoprire come, perché e chi trae vantaggio da quelle menzogne. “Cover-Up” racconta proprio questo… l’ossessione, più che la gloria.
I premi e il successo internazionale
Il film ha raccolto una serie impressionante di riconoscimenti, confermando il suo ruolo di documentario-evento. La scorsa settimana il prestigioso National Board of Review l’ha scelto come miglior documentario dell’anno, un titolo che spesso anticipa i favoriti della corsa agli Oscar.Il film ha inoltre conquistato il Maysles Brothers Award come miglior documentario al Denver Film Festival, ottenuto una Menzione d’Onore agli IDA Documentary Awards e ricevuto il David Carr Award for Truth in Non-Fiction Storytelling al Montclair Film Festival, premio dedicato alla memoria del celebre cronista del New York Times.A completare la pioggia di riconoscimenti, ai Cinema Eye Honors Seymour Hersh è stato inserito tra gli “Unforgettables of the Year”, la lista che ogni anno celebra le figure più memorabili apparse nel cinema del reale.
Un viaggio nella storia recente degli Stati Uniti
A fare da contrappunto alla figura di Hersh c’è un’America che cambia, spesso in peggio. Il film attraversa decenni di guerre, scandali, abusi e operazioni coperte. Non solo racconta fatti noti, ma li rilegge attraverso documenti originali, testimonianze e materiali che fanno capire quanto le istituzioni fossero pronte a tutto pur di mantenere il controllo della narrazione pubblica.
La sensazione è chiara: Hersh non è un semplice testimone del suo tempo, ma il suo contraltare. Ogni scoop è un colpo inferto alla versione ufficiale della realtà.
Il ruolo del giornalismo oggi: un monito più che un ricordo
Una delle riflessioni più potenti del film riguarda il presente. Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, dei video manipolati e delle immagini generate, ciò che un tempo era prova oggi può diventare sospetto. Non basta più “avere la foto”, ma serve metodo, rigore e chi è disposto a cercare la verità anche quando non conviene a nessuno.
Cover-Up diventa così un monito: il giornalismo d’inchiesta non è un mestiere del passato, ma un vaccino necessario contro la disinformazione e la manipolazione.
Un film che parla anche di noi
Guardando Cover-Up è impossibile non farsi domande. Quali verità stiamo ignorando? Quali storie rimuoviamo perché ci mettono a disagio? Quante volte accettiamo la versione ufficiale senza chiedere altro?
Il documentario non dà risposte semplici. Ma suggerisce che, senza figure come Hersh, la storia recente sarebbe stata molto più oscura. E forse continua a esserlo, quando manca qualcuno disposto a mettere a rischio la propria vita professionale per un principio.
Perché vale la pena vederlo
Perché racconta una vita che sembra un romanzo, ma è vera. Perché mostra come funziona davvero il potere e ricorda che la verità non si trova mai in superficie.Perché è un ritratto magistrale di uno degli ultimi giornalisti-“mastini” rimasti.Perché parla del nostro presente più di quanto voglia ammettere.
“Cover-Up” è un film potente, disturbante, necessario. Un invito a guardare oltre il racconto facile. Esattamente come ha sempre fatto Seymour Hersh.

