“Il Mostro”: la miniserie che ribalta il mito del serial killer e svela il patriarcato nascosto

“Il Mostro”: la miniserie che ribalta il mito del serial killer e svela il patriarcato nascosto

C’e qualcosa di estremamente disturbante – e non solo nelle scene del crimine – in ciò che appare nella miniserie diretta da Stefano Sollima e scritta insieme a Leonardo Fasoli ora presente su Netflix.

Più che ricostruire le terrificanti vicende dei delitti del Mostro di Firenze, la produzione sembra voler scavare a fondo nelle radici culturali di un paese che tra gli anni ’60 e ’80 preferiva parlare di mostri piuttosto che guardarsi allo specchio.

Il vero orrore, sembra suggerire Sollima, non è nei delitti, ma in un contesto sociale che li ha resi possibile.

Un true crime atipico che rifiuta la spettacolarizzazione.

A differenza di molte produzioni del genere, Il Mostro evita palesemente di spettacolarizzare la violenza. Le scene dei delitti hanno su per giù tutti lo stesso taglio e frequenza di esecuzione, non lasciando spazio allo stupore ma bensì alla brutalità psicologica e visiva.

Qui Sollima si limita a costruire un racconto denso, asciutto e soprattutto privo di compiacimento.

Ogni scena deforma sempre piu lo specchio culturale di quegli anni: una provincia soffocata da pettegolezzi, pregiudizi e un patriarcato che dirige ogni gesto.

Un’operazione senza dubbio rischiosa, certo, ma allo stesso tempo intelligente: qui il mostro non è soltanto un individuo ma un sistema.

Il patriarcato architetto del male.

La serie si incentra prevalentemente sul cosidetto delitto di Signa, del 1968. Analizzando, puntata dopo puntata, la famosa pista sarda.

Qui le relazioni tra uomini e donne emergono piu come strutture di potere che affettive: mariti possessivi e controllanti, mogli spaventate e una società opprimente e giudicante.

Stefano Mele, figura chiave di questa prima indagine, diventa ben presto quasi un simbolo dell’uomo oppresso, complice di un ordine patrialcale, sicuramente, ma che allo stesso tempo sopprime lui stesso. In questo contesto il crimine commesso non viene rappresentato soltanto come un gesto di follia ma cerca di far empatizzare, seppur in maniera critica e oggettiva, con questo personaggio: l’onore che viene calpestato dai pluritradimenti della moglie, Barbara Locci, e quello che la cultura e la famiglia Mele stessa si aspetta da Stefano per “risolvere” l’adulterio continuo della ragazza.

Un linguaggio visivo che denuncia.

In conclusione, Il Mostro, almeno fin adesso, non è una serie che tende a mitizzare una figura contorta e disturbante. In questa rappresentazione Sollima e Fasoli hanno rotto gli schemi rappresentativi tipici della nostra epoca, in cui il true crime viene proposto soltanto come puro intrattenimento, bensì viene distinta molto bene l’onesta morale della vicenda.

L’intenzione della miniserie non è quella di dare al pubblico degli spunti per risolvere il caso e trovare il colpevole, ma piuttosto di riconoscere la complicità collettiva e allo stesso tempo di dare l’opportunità alla società di interrogare una cultura.

Alla fine il messaggio è chiaro: il mostro non è solo un individuo, ma è un ombra fitta e buia nascosta dietro un Paese intero. Un Paese che ancora oggi fatica a guardare in faccia la violenza sistemica.

Ci sarà una seconda stagione?

Attualmente non sono state rilasciate dichiarazioni da Netflix o Sollima riguardo un possibile sequel.

Michelangelo G.

Mi chiamo Michelangelo e amo raccontare lo schermo. Analizzo film e serie tv con curiosità, ironia e un pizzico di spirito critico, sono sempre alla ricerca di qualcosa di interessante da approfondire. Prediligo generi true crime e anime, due mondi diversi tra loro ma al contempo perfetti per esplorare come il racconto riesca a svelare ciò che di solito resta nascosto. Condivido dettagli, impressioni e interpretazioni con l'obiettivo di far scoprire qualcosa di nuovo anche nelle opere più conosciute.