L’età dell’oro delle serie tv è davvero finita?
Per oltre un decennio, le serie tv sono state al centro della cultura pop globale. Dalla rivoluzione di Breaking Bad e Mad Men fino ai fenomeni planetari come Game of Thrones e Stranger Things, la televisione è diventata sinonimo di qualità, sperimentazione e narrazione ambiziosa. Ma oggi, sempre più voci si chiedono: l’età dell’oro delle serie tv è finita?
Dalla rivoluzione al sovraccarico

Il periodo tra i primi anni 2000 e la fine degli anni 2010 è stato definito “l’età dell’oro” perché, per la prima volta, la televisione ha rivaleggiato con il cinema per qualità artistica e impatto culturale. Le piattaforme di streaming hanno amplificato questo fenomeno, offrendo libertà creativa e un pubblico globale.
Tuttavia, questa abbondanza si è trasformata, negli ultimi anni, in saturazione. Il mercato dello streaming è diventato iper-competitivo: troppe piattaforme, troppi contenuti, troppo poco tempo per guardarli tutti. Anche gli investimenti miliardari non garantiscono più il successo, e molte produzioni vengono cancellate dopo una sola stagione. Gli spettatori, disorientati, faticano a scegliere cosa vedere, mentre la qualità media tende a livellarsi verso il basso.
La crisi del modello streaming
Il 2023 e il 2024 hanno segnato un punto di svolta. I principali servizi di streaming hanno iniziato a ridurre i budget, licenziare personale e chiudere progetti non ritenuti redditizi. La corsa all’abbonato ha lasciato il posto alla corsa al profitto, e con essa è arrivata una nuova prudenza.
Le grandi scommesse creative, quelle che hanno dato vita a serie iconiche, lasciano ora spazio a titoli più sicuri, spesso basati su franchise già noti o adattamenti di opere di successo. Questo approccio, pur garantendo una base di pubblico, rischia di soffocare l’innovazione.

Il pubblico è cambiato
Un altro elemento cruciale è il cambiamento nelle abitudini di fruizione. L’esplosione dei contenuti brevi sui social, da TikTok a YouTube Shorts, ha modificato la soglia di attenzione e il modo in cui il pubblico consuma le storie. La “binge culture”, un tempo simbolo dello streaming, mostra segni di stanchezza: molti spettatori preferiscono tornare a un rilascio settimanale o a contenuti più brevi e immediati.
Non una fine, ma una trasformazione
Parlare di “fine” dell’età dell’oro può però essere fuorviante. Più che un tramonto, si tratta di una trasformazione. Le serie tv non stanno scomparendo, ma stanno cambiando forma e funzione. La qualità non manca, basti pensare a produzioni recenti acclamate come Succession, The Last of Us o The Bear, ma il contesto in cui nascono è più complesso e competitivo.
L’industria sta cercando un nuovo equilibrio tra creatività e sostenibilità economica, tra libertà artistica e modelli di business solidi. È possibile che la prossima “età dell’oro” non assomigli affatto alla precedente, ma che nasca proprio da questa fase di transizione.
L’età dell’oro delle serie tv, così come l’abbiamo conosciuta, probabilmente sì, è finita. Ma la serialità televisiva non è morta: si sta evolvendo. Dopo un decennio di euforia e sperimentazione, il settore sta imparando a convivere con la maturità. E forse, come accade in ogni ciclo artistico, dal declino di un’epoca nasceranno nuove forme di racconto, capaci di sorprenderci ancora una volta.

