Com’è cambiata la Pixar: dal sogno digitale alla crisi d’identità

Com’è cambiata la Pixar: dal sogno digitale alla crisi d’identità

Per una generazione intera, il logo della Pixar – quella lampada saltellante che rimpiazza la “I” – era sinonimo di magia. Bastava vederla comparire sullo schermo per sapere che da lì a poco si sarebbe riso, forse pianto, ma sicuramente sognato.
Negli ultimi anni, però, qualcosa si è incrinato. Gli incassi altalenanti, la concorrenza sempre più agguerrita e una serie di cambiamenti interni hanno trasformato lo studio che aveva reinventato l’animazione in un cantiere di esperimenti, a volte brillanti, a volte confusi.

L’età dell’oro

Quando Toy Story uscì nel 1995, non era solo il primo lungometraggio interamente realizzato in CGI: era una rivoluzione emotiva. Pixar non si limitava a mostrare muscoli tecnologici, ma raccontava storie universali con una sensibilità quasi umana. Da Alla ricerca di Nemo a Ratatouille, da Wall·E a Up, lo studio di Emeryville costruì un linguaggio tutto suo, capace di parlare contemporaneamente a bambini e adulti.
Dietro ogni film c’era una filosofia chiara: la tecnologia al servizio del cuore. Il pubblico non ricordava tanto i poligoni o le texture, ma il nodo in gola di fronte a un giocattolo dimenticato o a un vecchio che sogna ancora di volare.

L’era Disney e il rischio dell’omologazione

Nel 2006, l’acquisizione da parte di Disney cambiò le carte in tavola. Se da un lato garantì stabilità economica e visibilità globale, dall’altro impose una maggiore attenzione ai risultati di mercato. I sequel si moltiplicarono – Cars 2, Monsters University, Alla ricerca di Dory – e, lentamente, la Pixar “autoriale” lasciò spazio a una Pixar più prudente.
Le storie sembravano meno rischiose, più allineate alle logiche di franchising. Non mancarono comunque i capolavori (Inside Out, nel 2015, resta uno dei punti più alti della sua storia recente), ma il mito dell’infallibilità cominciò a scricchiolare.

La fase sperimentale e la sfida dello streaming

Dopo il 2017 lo studio ha imboccato una strada nuova. Coco celebrava la cultura messicana con un’energia visiva travolgente; Soul si spingeva in territori filosofici; Luca, diretto dall’italiano Enrico Casarosa, raccontava un’amicizia estiva ambientata in una Liguria fantastica.
Parallelamente, l’arrivo di Disney+ ha ridisegnato il modo in cui i film Pixar arrivano al pubblico. Titoli come Turning Red e Soul sono stati distribuiti direttamente in streaming, privandoli del passaggio cinematografico che, per anni, era stato parte integrante del “rito Pixar”. Molti all’interno dello studio hanno vissuto questa scelta come un declassamento, un segnale di perdita di centralità rispetto ai colossi Marvel e Star Wars.

Crisi o metamorfosi ?

Il 2024 ha segnato un altro punto di svolta: licenziamenti, riduzione del personale e un ripensamento profondo delle strategie produttive. L’uscita di Elemental ha mostrato un ritorno alla semplicità narrativa e al romanticismo, ma anche la difficoltà di distinguersi in un panorama saturo di contenuti animati, dove Netflix, DreamWorks e Illumination competono sullo stesso terreno.
Eppure, tra le difficoltà, Pixar non ha smesso di cercare. La nuova generazione di registi – Domee Shi (Turning Red), Peter Sohn (Elemental), Kelsey Mann (Inside Out 2) – sta portando uno sguardo più personale, più intimo, anche se meno uniforme rispetto al passato.

Un futuro da riscrivere

Pixar non è più lo studio “perfetto” che sembrava all’inizio del millennio. Ma forse è proprio questa imperfezione a renderla di nuovo interessante.
Dopo trent’anni di rivoluzioni digitali e trame memorabili, oggi lo studio sembra interrogarsi su se stesso: può un marchio diventato leggenda tornare a essere laboratorio d’idee? Può continuare a emozionare in un mondo dove la meraviglia è diventata routine?

Forse la risposta è nella stessa filosofia che l’ha resa grande: mettere la tecnologia al servizio dell’anima.
Perché, anche se la lampada di Luxo non brilla più come una volta, il desiderio di raccontare storie che ci fanno sentire umani non si è mai davvero spento.

Simona Celano

Sono curiosa e mi piace osservare le persone e i dettagli della vita quotidiana, amo ascoltare più che parlare. Guardo film e serie TV quasi di ogni genere e mi lascio sempre sorprendere dalle storie che raccontano. Adoro i momenti semplici, come una passeggiata o passare il tempo a fare i dolci. A volte mi perdo nei miei pensieri, ma cerco sempre di imparare qualcosa da ogni esperienza. E, anche se non lo dico sempre, ogni piccolo dettaglio ha la sua importanza e merita di essere notato.