Dal Carcere Al Cinema, Ma a Quale Prezzo? La Storia Di Danny Trejo.

Dal Carcere Al Cinema, Ma a Quale Prezzo? La Storia Di Danny Trejo.

Danny Trejo non doveva diventare attore. “Secondo ogni statistica possibile, non doveva neanche uscire vivo di prigione.” Eppure oggi è uno dei volti più conosciuti del cinema americano. Ecco la storia dell’interprete di Razor Charlie in Dal Tramonto All’Alba.

Un volto che, ancor prima dei segni del tempo, porta i segni dalle sue esperienze. Un attore capace di trasmettere ansia e imprevedibilità ma sfruttato, in senso buono, da Hollywood per il suo aspetto: il cattivo per eccellenza, dove spesso non serve neanche un copione – basta la sua sola presenza per generare tensione e suggestione.

Quando il futuro aveva due strade

Danny Trejo, il volto cult di film come Dal Tramonto all’Alba (1996) o Machete (2010), nasce il 16/05/1944 a Echo Park, quartiere di Los Angeles. Cresce in un sobborgo dove la povertà e la violenza sono parte del quotidiano dove, le possibilità per un ragazzo di origini messicane, si riducono a due alternative: spezzarsi la schiena come operaio o imboccare la strada del crimine guadagnando soldi facili.Un tipico contesto che non soltanto i film ci hanno abituato a comprendere: bassa scolarizzazione, quartieri sovraffollati e intere zone trasformate in ghetti, dove i giovani non hanno delle vere alternative. E’ da queste scarse prospettive che, in quegli anni, nasce un malcontento destinato a sfociare nella formazione delle prime gang di strada, formato per lo più da giovani in cerca di un’identità.

Il punto di riferimento sbagliato

Vive in una famiglia dove la violenza e la frustrazione sono il pane quotidiano. Il rapporto con il padre è controverso, complicato, irrisolto, e Danny finisce per cercare altrove un altro punto di riferimento, trovandolo in suo zio Gilbert. Una guida che purtroppo si rivela tutt’altro che protettiva: è lui, quando l’attore ha solamente 12 anni, ad introdurlo all’uso di una droga ancora agli albori, l’eroina.

Dalle gang ai guantoni

Danny Trejo

Danny Trejo si trova, dunque, in una spirale complicata già in tenera età. Lo zio non si limita ad introdurlo alla droga, di cui ne è ormai dipendente, ma lo avvicina anche al mondo delle gang. Da li il passo è breve: piccoli furti e rapine di strada, una sequenza di arresti che lo portano presto a conoscere riformatori e carceri minorili. Con l’arrivo della maggiore età, a causa del suo stile di vita, arrivano anche le pene più severe. Il carcere da “adulto” lo costringe a reinventarsi per sopravvivere.

La boxe come disciplina

Tra una cella e l’altra la boxe diventa prima uno sfogo poi una disciplina: nei penitenziari americani esistono veri e propri tornei interni e, a San Quentin, Danny Trejo non si limita a partecipare, ma conquista il titolo del carcere diventando uno dei pugili più temuti dietro le sbarre.

La condanna “fortunata”

Danny, tuttavia, inizia a comprendere molte dinamiche personali e a mettere in discussione il proprio percorso. Quelle quattro mura, nate per togliergli la libertà, a seguito di alcuni avvenimenti, lo stavano lentamente trasformando in una persona priva di sentimenti o incapace di provare empatia. L’attore passa buona parte della sua giovinezza dietro le sbarre, ma in uno di questi istituti accade un fatto curioso, destinato a diventare l’episodio simbolo del cambiamento del futuro attore. E’ il 1968, nel carcere di Soledad, e si sta svolgendo una partita di baseball tra i detenuti e alcuni civili, in occasione del Cinco de Mayo – una festività messicana.

La rissa che lo porta alla redenzione

Durante la sfida, per futili motivi, nasce una rissa tra i giocatori che poi sfocia in una rivolta. In questa sommossa viene ferita e uccisa una guardia carceraria e, per sua sfortuna, Danny Trejo viene accusato di questo crimine. Un delitto che negli anni ’60 comportava un rischio concreto di ricevere un pena capitale. Passa dei giorni interminabili in isolamento, assorto nei propri pensieri e nelle preghiere. Ed è’ in questo momento che in lui scatta uno spiraglio di redenzione, comprendendo la fine indecorosa che lo attende.

Un occasione per cambiare

In diverse interviste racconterà che, in quegli anni, pregava Dio di per una seconda possibilità. Prometteva che se avesse avuto un’occasione di riscatto, avrebbe dedicato la sua vita per aiutare gli altri. Un’occasione che, per fede o per fortuna, finirà davvero per arrivare. Dei tanti detenuti e guardie presenti, durante la sommossa, nessuno testimonia contro Danny. Le accuse di conseguenza cadono e, sorprendentemente, sconta la pena in anticipo venendo rilasciato, promettendo di comportarsi bene e di rispettare le regole: il cosiddetto rilascio sulla parola.

L’ingresso nel maxi schermo

Inizia così a mettere in pratica le promesse fatte durante quegli orrendi giorni di isolamento: lavoretti saltuari, poi la creazione di un’azienda di giardinaggio per guadagnarsi da vivere onestamente, finche non inizia a intraprendere la strada della consulenza sulle tossicodipendenze. Un mestiere che, egli, in più di un’occasione dichiarerà come il suo lavoro principale. Suo vero impiego attuale.

L’incontro con Edward Bunker

Nel 1985, Danny Trejo, stringe amicizia con un ragazzo in affari nel mondo del cinema. In quel periodo è in produzione A 30 secondi dalla fine, un film che tra l’altro richiama dinamiche familiari per lui. Incontra inaspettatamente, Edward Bunker, sceneggiatore, ex galeotto di San Quentin, che conosce bene la sua “carriera” da pugile a in quel penitenziario, gli propone dunque 350 dollari al giorno per allenare Eric Roberts, star del film. Trejo svolge un lavoro formidabile attirando anche l’attenzione del regista, non solo per la sua maestria nella boxe ma anche per un lato oscuro appena accennato, il suo passato lo rende perfetto per un ruolo non di poco conto: un detenuto boxer destinato ad affrontare il protagonista in un incontro.

Una carriera incredibile ma… senza impegno

E’ da questo momento che la sua carriera prende il volo. Pochi ruoli da protagonista , ma tantissime comparse che insieme formano una filmografia enorme. Il suo ruolo centrale più iconico rimane Machete (2010) seguito da Machete Kills (2013) dove l’attore torna ad interpretare Isador Cortez. Altri ruoli di rilievo sono stati The Boys of Ghost Town (2009), Dead in Tombstone (2013) e Bad Asses on the Bayou (2015).

Un attore non protagonista

Una carriera dove i film da protagonista sono una rarità, la maggior parte dei suoi incarichi sono caratteristici, di supporto, o cameo, spesso di pochi giorni di riprese. Tanto che, seppur non esista un record ufficiale, nel solo 2010, anno dell’uscita del primo Machete , lo vedremo apparire in ben 12 film differenti, escludendo i cortometraggi, TV e partecipazione a videogiochi. Tanti piccoli impegni che però lo portano a collaborare, fianco a fianco, con attori del calibro di: George Clooney, Johnny Depp, Robert De Niro, Nicolas Cage e Bryan Cranston.

La condizione: nessun lieto fine per i cattivi

Come citato prima, Danny Trejo, ha da sempre dichiarato che la carriera da attore non è mai stata messa da lui a primo posto. Bensì le sue partecipazioni hanno avuto un ruolo più profondo e strategico per quello che, per lui, è più importante: aiutare il prossimo.

Per i registi, gli studios e sceneggiatori, Danny Trejo è sempre stato un candidato perfetto per l’interpretazione del cattivo. La sua presenza sul set incarna lo stereotipo perfetto del narco-trafficante, dello spacciatore o, comunque, del criminale comune. Un volto sfigurato dall’età e dal peso delle esperienze passate. Uno stereotipo, tuttavia, che ha deciso di sfruttare pienamente per i suoi nobili scopi.

Una clausola contrattuale precisa: il suo personaggio deve morire o finire in carcere.

Questo, nella maggior parte dei casi, è il messaggio che vuole trasmettere agli spettatori. Non bisogna spettacolarizzare la criminalità, bisogna comunicare che non porta mai ad un lieto fine. Sembra assurdo ma vero, Trejo è capace di passare da un Tortuga decapitato in Breaking Bad a un Manny consumato dal sistema carcerario, in Runaway Train.

Due produzioni lontanissime nel tempo, ma sorprendentemente vicine nella visione del mondo, che racchiudono i due unici possibili epiloghi per la storia di un criminale: la morte o il carcere.

Michelangelo Gelo

Mi chiamo Michelangelo e amo raccontare lo schermo. Analizzo film e serie tv con curiosità, ironia e un pizzico di spirito critico, sono sempre alla ricerca di qualcosa di interessante da approfondire. Prediligo generi true crime e anime, due mondi diversi tra loro ma al contempo perfetti per esplorare come il racconto riesca a svelare ciò che di solito resta nascosto. Condivido dettagli, impressioni e interpretazioni con l'obiettivo di far scoprire qualcosa di nuovo anche nelle opere più conosciute.