Michael Myers: il volto del male dietro la maschera bianca di Halloween

Michael Myers: il volto del male dietro la maschera bianca di Halloween

Il protagonista della saga Halloween, nato dal genio di John Carpenter nel 1978, è diventato più di un personaggio: è l’archetipo del male assoluto. E il suo segreto, forse, è proprio quello di non avere un volto.

L’ombra che non corre mai

Cammina, sempre. Non serve che corra, tanto sai già che ti raggiungerà. Da quasi cinquant’anni, Michael Myers è la figura che riassume la paura pura, senza voce e senza emozioni. Quando la sua maschera bianca emerge dal buio, in quel silenzio si capisce già tutto .

Il bambino che divenne il nulla

Nel primo Halloween, un ragazzino di sei anni uccide la sorella nella notte del 31 ottobre. Nessuna motivazione, nessuna rabbia apparente. Solo un coltello, una maschera e un silenzio disturbante. Da adulto, Michael Myers torna a Haddonfield per continuare la sua “non-missione”, cioè uccidere chiunque si trovi sulla sua strada, come un’ombra che non conosce stanchezza. John Carpenter lo chiamava “The Shape”, la Forma. Non una persona, ma un concetto. Un’entità che rappresenta il male primordiale, quello che non puoi spiegare e che per questo fa ancora più paura.

La maschera del male quotidiano

La sua maschera, candida e inespressiva, è forse il vero simbolo del personaggio. Una curiosità sempre citata dai fan, che in realtà è una maschera di William Shatner, il capitano Kirk di Star Trek, pitturata di bianco e privata di ogni espressione. Il risultato? Un volto umano che non sembra più umano. Michael Myers non ha occhi, solo due buchi neri. È il vicino di casa, l’uomo dietro l’angolo, è l’anonimo per eccellenza. È la paura che ci guarda senza dire nulla, perché non ha nulla da dire.

“Il male non muore. Cambia solo indirizzo.”
Laurie Strode, l’eterna sopravvissuta.

Perché fa ancora paura nel 2025

In un’epoca di mostri digitali e orrori iperrealistici, Michael Myers resta spaventosamente efficace. La sua lentezza, il suo silenzio, il suo essere “sempre dietro di te” incarnano un tipo di paura arcaica: quella dell’inevitabile. Puoi correre, gridare, cambiare casa o città: lui ti troverà. Non per odio, ma per destino. Il personaggio funziona ancora perché non rappresenta solo un assassino, ma l’idea che il male possa esistere senza motivo. E questo è ciò che ci terrorizza più di tutto: il pensiero che il pericolo non abbia logica né volto.

La banalità disumana del male

A differenza di Freddy Krueger o Hannibal Lecter, Michael Myers non gode delle sue azioni, non parla e non prova piacere. È puro istinto, privo di personalità. Il gesto assurdo, l’omicidio casuale e la follia quotidiana rappresentano la paura che proviamo davanti alla violenza inspiegabile del mondo reale. Per questo ogni Halloween torna puntuale: perché rappresenta la parte di noi che non vogliamo guardare. E ogni volta che indossiamo una maschera, anche solo per una festa, forse un po’ di lui ci accompagna.

Curiosità da brivido

La colonna sonora composta da John Carpenter è costruita su un ritmo di 5/4, volutamente “scomodo” per l’orecchio, in grado di generare tensione anche senza immagini. Nel primo film, il budget era così basso che la tuta di Myers costò meno di due dollari. Nonostante appaia come un “mostro immortale”, nel copione originale Myers era solo un uomo,  l’immortalità è arrivata dopo, con i sequel e la leggenda. Jamie Lee Curtis, l’eroina Laurie Strode, aveva solo diciannove anni durante le riprese del primo film.

Il silenzio come firma

In un’epoca in cui tutto urla dai social, allo streaming ed agli spaventi improvvisi  a raffica, Michael Myers continua a fare paura semplicemente stando fermo. Non ha bisogno di parole, perché basta la sua presenza. Ogni volta che la maschera bianca emerge dal buio, sappiamo già come finirà. Ma restiamo lì a guardare, incapaci di distogliere lo sguardo.

Forse perché, in fondo, Michael Myers non è mai davvero morto. È solo in attesa del prossimo Halloween.

Deborah Muratore

La mia passione per il cinema nasce da bambina, quando con mio padre organizzavamo serate a tema dividendo le settimane in categorie. Da allora non mi sono mai fermata, con un debole particolare per gli horror. Empatica e sempre sorridente, amo anche i cavalli, le persone genuine e la creatività in tutte le sue forme.