Finisce una serie. Passano pochi minuti. Prima ancora che i titoli di coda smettano di scorrere, siamo già online: Twitter, Facebook, un gruppo WhatsApp. “Carina, ma…”.
“Mi aspettavo di più”. “Bello eh, ma finale deludente”. Oggi nessun film sembra davvero sufficiente. Nessuna serie riesce a lasciarci con quella sensazione semplice e rara: la soddisfazione. Come se, davanti allo schermo, fossimo diventati tutti critici semi-professionisti, allenati a trovare il difetto prima ancora di riconoscere il merito. Ma cosa è successo?
Siamo diventati spettatori troppo esperti?
Guardiamo più storie che mai. Film, serie, miniserie, reboot, spin-off. Abbiamo visto tutto, o almeno così ci sembra. Riconosciamo subito un colpo di scena, una struttura narrativa, un personaggio “alla Breaking Bad”, una dinamica “alla Black Mirror”. Il problema non è che le storie siano pigre. È che noi siamo iper-allenati. E quando la sorpresa sparisce, entra in scena la critica.

Guardiamo serie tv e film pensando già al giudizio
Una volta si guardava un film. Punto. Oggi lo si guarda pensando al commento, alla recensione, alla discussione che verrà dopo. La visione non è più un’esperienza privata, ma un atto pubblico. Il “mi è piaciuto” non basta più. Serve un’opinione articolata, possibilmente controcorrente. Non guardiamo più per sentire qualcosa, ma per avere qualcosa da dire.
L’hype è diventato il vero antagonista
Trailer, teaser, leak, teorie, aspettative infinite. Quando finalmente arriva il film o la serie, non arriva mai da sola: arriva dopo mesi (a volte anni) di immaginazione collettiva. Nessuna storia reale può competere con una storia perfetta che esiste solo nella nostra testa. Così il prodotto finale diventa inevitabilmente “meno”.
Vogliamo capolavori a cadenza settimanale
Viviamo nell’epoca del “si può sempre fare meglio”. Budget enormi, effetti impeccabili, scritture raffinate. Se qualcosa non è straordinario, diventa mediocre. Abbiamo perso una categoria fondamentale: il “buono”. Pretendiamo capolavori continui, e quando non arrivano ci sentiamo traditi.
Il controllo ha sostituito l’abbandono

Mettiamo in pausa, analizziamo, confrontiamo. Guardiamo le storie nei film come se dovessimo smontarle, non viverle. Eppure il piacere narrativo nasce dall’abbandono, non dal controllo. Senza la disponibilità a lasciarsi andare, anche la storia migliore rischia di sembrarci vuota.
Forse il problema non sono i film
Forse non è vero che film e serie TV siano diventati peggiori. Forse siamo noi ad aver smesso di concederci il lusso della soddisfazione. In un’epoca in cui tutto è valutabile, confrontabile e migliorabile, l’idea che una storia possa bastare così com’è sembra quasi ingenua. Eppure, a volte, basterebbe spegnere il telefono e ricordarci perché guardiamo storie. Dovremo guardarle non per giudicarle, ma per sentirle. Piangere, ridere, innervosirci su quel personaggio che proprio non ci piace, ma viverle.
Non tutto deve essere memorabile. Qualcosa può semplicemente funzionare.
E, ogni tanto, essere abbastanza dovrebbe essere più che sufficiente.

