Quei bravi ragazzi: il capolavoro che da 35 anni ridefinisce il gangster movie

Quei Bravi ragazzi

Quei bravi ragazzi (Goodfellas), seconda pellicola dedicata alla mafia del maestro Martin Scorsese, compie 35 anni. Dal 1990 a oggi è rimasto uno dei pochi film a occupare un posto in prima fila nella storia del cinema, regalandoci uno scorcio non inedito ma rinnovato della mafia italo-americana. Non solo per la sua estetica inconfondibile o per l’incredibile interpretazione del cast, ma anche per l’impatto culturale che ancora oggi influenza la narrazione criminale sullo schermo. In questo articolo ripercorriamo la forza di un’opera che, pur appartenendo a un’epoca precisa, resta sorprendentemente viva.

L’eredità di un film che non invecchia

Ci sono film che diventano icone lentamente e altri che nascono tali. Quei bravi ragazzi appartiene senza esitazioni al secondo gruppo. Sebbene sia stato spesso criticato per essere, a detta di molti, un film che “racconta invece di mostrare”, rimane indiscutibilmente una pellicola energica, dal ritmo serrato e dalla lucidità indispensabile per narrare l’ascesa e la caduta del gangster Henry Hill (Ray Liotta).

Tratto dal libro Il delitto paga bene di Nicholas Pileggi, il film racconta il fascino che la mafia esercitava sui giovani italo-americani in un’epoca in cui sembrava avere più potere dello Stato stesso. Quei bravi ragazzi è un’opera affascinante, rimasta tale negli anni grazie alla leggerezza con cui alterna violenza e ironia, un equilibrio che pochi registi sanno padroneggiare come Scorsese.

Basti pensare alle musiche che accompagnano la narrazione, volutamente pop, cinicamente allegre e profondamente legate agli anni della nouvelle vogue. Una dicotomia straziante e perfettamente coerente con il tono del film. Quei bravi ragazzi non è un documentario sulla mafia né un’autobiografia del protagonista, quanto piuttosto uno sguardo sul fascino tossico del potere visto dagli occhi di chi vi è immerso fino al collo.

Una regia che ha riscritto le regole e interpretazioni che hanno fatto scuola

Martin Scorsese è uno di quei registi che hanno contribuito alla definizione della grammatica del gangster movie e, con ogni suo film, è riuscito a rinnovarla completamente. Sebbene Quei bravi ragazzi condivida diversi aspetti con il terzo film della trilogia, Casinò (1995), come l’uso del voice-over e le sequenze dinamiche, ci ha regalato momenti iconici come la celebre carrellata attraverso il Copacabana, i freeze frame e l’impiego delle musiche che scandiscono il ritmo emotivo dei personaggi.

Come da copione, nei film ogni brano contribuisce a definire il tono di una scena o l’intensità dell’emozione dei protagonisti, ma in Quei bravi ragazzi la scelta delle musiche non è mai banale. Nel corso della pellicola ci troviamo spesso di fronte a scene di violenza spietata incorniciate da musiche swing, rock ’n’ roll o brani dai toni leggeri. Anche la voce narrante non aggiunge drammaticità o pentimento al racconto del protagonista, ma è piuttosto un cinico resoconto dei fatti, come a dire “cosa dovevo fare? La vita, a quei tempi, era così!”. L’intreccio tra suono e immagine ha così contribuito a fissare un nuovo standard cinematografico, ricercato e molto influente.

Alcuni spettatori, ancora oggi, descrivono un Ray Liotta (Henry Hill) acerbo, non del tutto all’altezza dell’evoluzione psicologica del personaggio e dunque incapace di restituire pienamente la sua condizione sospesa tra ambizione e rimorsi.

Dobbiamo considerare, tuttavia, che nel cast figuravano nomi come Robert De Niro, che collaborava con Scorsese già dal 1973 (Mean Streets, primo capitolo della trilogia), e che fu in grado di conferire al personaggio di Jimmy Conway un carisma spietatamente minaccioso. Vorrei aprire una parentesi su come certi attori, tra cui De Niro, hanno avuto la fortuna di interpretare personaggi dai toni e psicologia simile, ma mi dilungherei troppo e non è questa la sede adatta.

Ben poco, invece, potrei aggiungere a una delle interpretazioni più incisive della carriera di Joe Pesci, che dopo appena ventuno minuti di pellicola ci regala l’iconica scena “Buffo come? Perché buffo?”, che fu scritta proprio da lui e ispirata ad un evento accadutogli in giovane età.

La lectio magistralis di questo attore in Quei Bravi Ragazzi sta nel fatto che sullo schermo non vedi Joe Pesci, vedi il criminale Tommy DeVito, un uomo capace di alternare humour e brutalità con una naturalezza disturbante. La stessa naturalezza di Pesci nel mettere in scena il personaggio. In definitiva, queste interpretazioni, anche quella di Liotta, sono riuscite a fondersi e procedere all’unisono, portando sullo schermo sfumature diverse perfettamente allineate che oggi sono divenute veri e propri archetipi.

Quei Bravi ragazzi: un anniversario che conta davvero

Oggi, parlando di Quei bravi ragazzi, non vogliamo celebrare solo un film, ma un punto di svolta. Un’opera che ha modificato la percezione del genere gangster, ha reinventato la narrazione criminale e ha lasciato un’impronta duratura nella memoria collettiva.

Ne Il Padrino, ad esempio, l’autenticità dei fatti è disarmante come lo è il peso del potere. Il capolavoro di Coppola non parla di ambizione e corruzione morale, parla di retaggi familiari. Del peso del nome della famiglia e di come questi doveri corrodessero gli animi e oltrepassassero la singola volontà. Al contrario la forza dei gangster-movie di Scorsese risiede da sempre nel mostrare la vita criminale come un’illusione che si sgretola. Il fascino dei soldi e l’euforia iniziale, fatta di potere e appartenenza, si trasformano presto in paranoia e autodistruzione.

Quei Bravi Ragazzi non giudica, ma osserva con lucidità, lasciando allo spettatore il peso della realtà. Un capolavoro, dunque, che a 35 anni dalla sua uscita, resta un pilastro visivo e narrativo che continua a ispirare critici, cinefili e creativi e chissà se siamo stati capaci di capirne la morale.

Valentina Tudisco

Tremendamente pignola e rompiscatole. Cresciuta a pane, Totó e rewatch compulsivi di Will&Grace. Gli anni ‘90 sono stati la mia strada, ma ho i synth anni ‘80 nel cuore e Jane Austen nell’animo. Oggi distillo tutto questo caos in copy e articoli di cinema.