Stranger Things: l’ultimo trailer e quella paura che non viene dal Sottosopra

Stranger Things: l’ultimo trailer e quella paura che non viene dal Sottosopra

C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’ultimo trailer di Stranger Things. E no, non parliamo del Sottosopra, né dei mostri, né dell’ennesima minaccia che promette di distruggere Hawkins. La vera paura nasce altrove: nei silenzi, nei ricordi, in ciò che non viene mostrato.

Quando Hopper parla, non è mai solo un discorso

Il trailer dell’ultima parte sembra costruito come una lettera d’addio senza firma. Hopper parla. E quando Hopper parla così, con quella voce spezzata ma ferma, sappiamo che non è solo un discorso: è una dichiarazione d’amore. Rivolta a Undici, sì, ma anche a noi. A tutto quello che questa serie è stata. Ed è proprio lì che qualcosa non torna.

Il grande assente: l’atto finale

Perché mentre le sue parole scorrono, non vediamo davvero l’atto finale. I ragazzi non sono insieme, non combattono fianco a fianco come ci hanno abituati. Al loro posto: frammenti. Flashback. Ricordi. Abbracci, risate, momenti che appartengono a un tempo più innocente. Come se la serie stesse dicendo: “Ricordati da dove siamo partiti”. E quando una storia ti chiede di ricordare, spesso è perché si sta preparando a lasciarti andare.

Una scelta narrativa che protegge (e ferisce)

Il montaggio è una scelta precisa. Mostrare poco del presente e tanto del passato non è nostalgia gratuita, ma è una tecnica emotiva. Serve a confonderci, certo, ma soprattutto a proteggerci. A non farci capire chi, alla fine, potrebbe non tornare.

Non si tratta più di salvare Hawkins

Stranger Things è sempre stata una serie sul sacrificio, ma mascherato da avventura. Bambini che crescono troppo in fretta. Amicizie messe alla prova. Genitori che imparano ad amare nel caos. Ora però il gioco sembra diverso: non si tratta più di salvare Hawkins per tornare alla normalità. La normalità non esiste più. E forse non tornerà.

La paura vera non è lo shock, ma il senso

La paura vera è questa: che il finale non cerchi lo shock, ma il senso. Che non voglia sorprenderci con una morte improvvisa, ma prepararci lentamente a una perdita inevitabile. E quando una storia fa questo, fa più male. Perché non ti colpisce all’improvviso: ti accompagna, ti prende per mano, ti guarda negli occhi e poi… lascia andare.

Forse il sacrificio non è una persona

E se il sacrificio non fosse solo di un personaggio? Se fosse di un’epoca? Dell’infanzia, dell’illusione che tutto possa finire come è iniziato? Forse per questo vediamo più ricordi che azione. Perché Stranger Things non sta solo chiudendo una trama, sta chiudendo un capitolo della nostra crescita.

Quella sensazione che resta dopo il trailer

Quel trailer non ci dice chi morirà. Ci dice qualcosa di peggio (o di più bello, dipende da come lo guardi): qualcosa finirà davvero. E non potremo farci niente.

Forse è per questo che abbiamo paura. Non del finale. Ma del momento esatto in cui spegneremo lo schermo e ci renderemo conto che Hawkins non tornerà più

Deborah Muratore

La mia passione per il cinema nasce da bambina, quando con mio padre organizzavamo serate a tema dividendo le settimane in categorie. Da allora non mi sono mai fermata, con un debole particolare per gli horror. Empatica e sempre sorridente, amo anche i cavalli, le persone genuine e la creatività in tutte le sue forme.